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LA GRANDE GUERRA

Nelle immagini vedo due realtà molto differenti, opposte e distanti l’una dall’altra. Sono così diverse, che mi sembra assurdo trascorrano pochi giorni prima che la seconda venga immortalata. Pochi giorni che hanno cambiato radicalmente centinaia di persone. Nella prima immagine ci sono degli uomini al settimo cielo, con la gioia negli occhi e che non vedono l’ora di entrare in guerra e difendere la propria patria e il proprio popolo. Tutti portano le mani in aria gioiosi, fieri, orgogliosi, coraggiosi e forse dando per scontato di vincere qualcosa più grande di loro. Gli uomini che vediamo hanno una postura eretta, quasi per dimostrare il loro coraggio e il forte desiderio di darsi da fare per salvare il Paese. Quello stesso coraggio che vediamo dissolversi e morire nella seconda immagine. Gli occhi di tutti i presenti sono cupi, rassegnati, persi, pentiti, amareggiati. È il potere della consapevolezza. Sarà bastato mettere solo un piede all’interno di una trincea per rendere consapevoli quegli uomini dell’immensa bugia alla quale avevano creduto. La guerra non era bella come dicevano. La guerra era disperazione. La guerra metteva tutti in ginocchio e portava tutti allo stesso livello. Nessuno era più importante di nessuno. Nella guerra le differenze spariscono. Nella guerra torniamo ad essere umani. Persino gli ufficiali più arditi piangono e si mostrano deboli, vedendo questo conflitto per quello che è davvero. Non importa quali spille ci siano sulla tua giacca, in queste situazioni tutti i filtri spariscono, lasciando spazio ad esseri umani deboli ed insicuri, quali siamo. I soldati, quando si sono trovati sul fronte forse hanno capito anche che tra loro e il nemico non c’era nulla di diverso. Dopotutto, anche loro combattono per la stessa causa. Anche loro sono stati chiamati dall’alto ad affrontare una situazione che nemmeno potevano concepire. Anche loro hanno visto migliaia di compagni morire tra le sofferenze più atroci. Anche loro piangevano, anche loro volevano tornare a casa ed anche loro non volevano morire. Sì, perché la guerra ti fa capire quanto la vita sia simile ad un filo di seta. Basta poco per spezzalo. In quel momento si vede la vita per quello che è davvero: un oggetto di cristallo così fragile che potrebbe essere distrutto in pochi secondi. E se fossero morti davvero? Il loro sacrificio sarebbe realmente servito a qualcosa? Dopotutto nessun paese aveva fatto progressi. Consistenti. Un uomo in più che moriva quale valore avrebbe avuto? Sarebbe stato abbandonato sul campo di battaglia, insieme ad altri mille corpi senza vita. Si diventava uno dei tanti, si perdeva il proprio valore. Spesso la famiglia del soldato non riceveva nemmeno i suoi ultimi affetti personali, come la sua uniforme o la sua targhetta. Si diventava polvere. Valeva davvero la pena di morire così? È vero, si combatteva alla difesa della propria nazione, il più grande orgoglio di ogni soldato, ma in fin dei conti si combatteva per i capricci di immensi imperi che mandavano a morire i propri cittadini col solo scopo di diventare sempre più potenti. La guerra è in grado di acciecarti, di illuderti di stare facendo del bene, quando stiamo solo contribuendo alla distruzione della nostra e di altre decine di nazioni. La guerra ci fa diventare folli, ci fa impazzire, ci traumatizza per sempre. Ci lascia il segno. Segna il nostro essere in modo indelebile e rimarrà con noi per tutta la vita, diventando parte di essa.

 Vittoria Baboni

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