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NEL MIRINO

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Bullismo: un sostantivo sempre più presente sulle labbra di tutti, un fatto in continua crescita, soprattutto in Italia. Al centro del mirino la vittima, colei che subisce l’umiliazione e che troverà stampata sulla pelle e nell’anima gli insulti e le parole pesanti a lei rivolte, per sempre. Attorno a lei, alcune mani con il dito puntato, segno di derisione. Ma tutte le mani sono “comandate” dal bullo ovvero la persona che punta il mirino: è lui che sceglie il bersaglio, e che incita i compagni a schernire la vittima. Il bullismo varia da persona a persona: infatti sia la vittima che il bullo possono comportarsi in modi diversi, a seconda del loro carattere e, nel caso del bullo, a quanto dolore fisico e mentale vuole trasmettere. Nell’immagine la vittima è quella soprannominata “perfetta”: purtroppo è una ragazza che non riesce a superare facilmente le accuse infondate, il suo carattere probabilmente le impedisce di superare a testa alta le accuse. Così, non sopportando il peso di quelle parole, si chiude in se stessa, inarca le spalle in avanti per dimostrare che vorrebbe sparire, non sopportando più di essere al centro di una attenzione insana. Le mani le coprono il volto, segno che sta piangendo e soffrendo ma non vuole mostrare un’altra delle sue debolezze. Però rimane lì, incapace di uscire da quella situazione più grande di lei, che potrebbe sfociare in un atto pericoloso e definitivo. il bullo, dal canto suo, non è veramente presente nell’immagine e nella scena, ma osserva il tutto da dietro le quinte, come uno spettacolo, compiacendosi del lavoro compiuto. Lui è rappresentato dal mirino: significa che ora ha scelto la sua vittima, non gli può più scappare, perché difficilmente una preda scampa al fucile puntato dal cacciatore. Posso poi intuire che il bullo in realtà è una lei: è solito infatti nel bullismo femminile, che la bulla sia la “leader” di un ristretto gruppo di ragazzi e ragazze che agiscono per lei. Il compito della leader in sostanza è gettare benzina sul fuoco, ovvero incitare la sua cerchia a continuare a mettere alle strette la “preda”. Le mani puntate indicano proprio le persone che, influenzate dal bullo o per paura di intervenire perché la vicenda gli si potrebbe ritorcere contro, vanno dalla parte sbagliata. Ma cosa accomuna il bullo e le dita puntate? Penso che la frase “Il bullismo è un fatto di solidarietà”, letta in un brano in classe, sia azzeccata, anche se ambigua: solidarietà significa condivisione di interessi, idee e sentimenti, solitamente buoni, ma quando ci si trova nel campo del bullismo l’interesse è sottomettere. Ciò è molto lontano dal vero significato di solidale, che significa anche fraternità nei confronti di tutti. Quando il gruppo di bulli si descrive in questo modo, dovrebbe conoscere le assurdità senza senso che va blaterando. Ma arriviamo al fatto più importante: perché? Perché comportarsi in questo modo? Cosa si vuole dimostrare? I bulli con la loro ostentazione vogliono dimostrare presunte capacità o abilità, talvolta vogliono distinguersi perché in cuor loro sanno che la vittima è molto meglio di loro stessi. Se hanno avuto mancanza di affetto, vogliono trasmettere solitudine e tristezza a chi ha la fortuna di non averle. I bulli cercano sempre di trovare un difetto o un punto debole nella vittima, perché sotto sotto sono invidiosi. È così che funzionano la maggior parte delle cose: l’invidia è come un serpente che si insinua dappertutto, un sentimento orribile ma che non si può fare a meno di ascoltare. I bulli sono inoltre incitati spesso dagli stessi genitori, che non sopportando l’idea di vedere il figlio inferiore a qualcun altro, gli tramandano una conoscenza e un’istruzione malata. Nel 2017 è stata istituita una normativa contro il bullismo e cyberbullismo, una serie di leggi che tutelano i ragazzi le ragazze italiane. Gli obiettivi sono contrastare ed emarginare fenomeni e gli atti di discriminazione sul web e non, seguendo piani di prevenzione e istruendo i ragazzi a seguire una strada responsabile e giusta. Nonostante queste grandi iniziative siano in atto da quasi quattro anni, i risultati non sono dei migliori: gli episodi invece di diminuire crescono continuamente, ciò perché molte vicende avvengono all’oscuro di tutti, di nascosto. Infatti le vittime non sempre riescono a parlare con gli adulti di quanto gli è successo e gli episodi di bullismo nei loro confronti rimangono nascosti nella loro mente senza mai uscirne. Non sono mai stata al centro di un atto di bullismo vero e proprio, se non si contano le svariate volte in cui mi sono ritrovata esclusa dal gruppo ed emarginata. Dalle elementari fino all’anno scorso mi ritrovavo spesso sola oppure con una o due amiche mentre il resto del gruppo usciva il pomeriggio, si divertiva. Molte volte avevo pianto di nascosto perché mi sentivo veramente male: ancora oggi non trovo un senso all’esclusione e l’emarginazione. Sarà stato perché non condividevo gli stessi loro interessi oppure perché ero molto timida e non mi vestivo alla moda come loro ma mi sono confidata sempre con i miei genitori. Ogni giorno, tornata da scuola raccontavo cosa era successo durante la ricreazione, in classe, all’entrata e all’uscita. Un piccolo saluto non ricambiato mi colpiva, perché pensavo e penso ancora oggi che il saluto sia una forma di gentilezza che non deve essere tolta nessuno. A ricreazione in quinta elementare mentre tutte le bambine uscivano fuori a giocare, io con il mio piccolo gruppo restavo in classe e scrivere o disegnare. Penso fosse una delle poche gioie di quel periodo. Dopo aver passato tutto l’anno scolastico della prima media sentendomi perennemente sola ho iniziato la seconda con tantissimi amici e amiche, così tante che non riuscivo nemmeno a crederci. “Probabilmente la Comunione e la Cresima ricevute a giugno hanno dato consiglio” mi ero detta. Poi è arrivato il Covid ed è ricominciato tutto da capo. Mi sentivo raramente con tutti e continuavo a chiudermi sempre più in me stessa non accorgendomi del male che mi facevo. In estate finita la quarantena ho riallacciato i rapporti con alcune compagne e ho passato un’estate bellissima: avevamo scoperto di guardare la stessa serie TV, ci piacevano i vestiti colorati e facevamo lunghe biciclettate per il paese o in mezzo ai campi. Anche questa è finita, purtroppo, a causa di un litigio decisamente infantile. L’importante però è che almeno in classe mi sento parte del gruppo e quel pasticcio è stato finalmente risolto. Non mi piace ricordare questi eventi, che con il tempo sono riuscita a dimenticare e ho nascosto questi ricordi nel cassetto della mia memoria buttando la chiave. Ogni tanto però ci ripenso lo stesso e capisco che non imparerò mai: se dovesse capitarmi di nuovo mi sentirei sempre male, frustrata ed ingannata. Non so se questi erano veri e propri atti di bullismo perché, se all’inizio mi infastidivano, dopo un po’ pensavo fosse la normalità; essere da sola, avere forse un’amica come punto di riferimento per me era la normalità! I miei genitori mi ripetono spesso questa frase, ovvero: si può contare solo su se stessi. È proprio vero: il modo migliore per sorpassare ogni fatto è sapere di essere forti e capaci di credere in se stessi ovvero avere autostima. Contando solo su di sé non ci si abbatte vedendo gli altri abbandonati, non ci si sente tristi quando si è imparato ad avere come punto di riferimento la propria persona. Però si può contare anche sui genitori, sulla famiglia, che non ti volteranno mai le spalle soprattutto nel momento del bisogno. Spero tanto che un giorno la parola bullismo diventi del passato ma per far sì che questo accada ognuno di noi deve dare il meglio per contrastare il fenomeno, omettendo di puntare il mirino.

 

Cristel Maffezzoni

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