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FINO A QUANDO LA MIA STELLA BRILLERA'

Anche quest’anno abbiamo conosciuto una storia di vita legata alla Giornata della Memoria. In classe abbiamo letto il libro “Fino a quando la mia stella brillerà” di Liliana Segre, sopravvissuta al  lager di Auschwitz e testimone dell’Olocausto tra i ragazzi. In una conversazione in classe abbiamo ricordato le diverse attività proposte nella Giornata della Memoria fin dalla classe seconda. Tutto è iniziato con la lettura della storia << Otto, l’autobiografia di un orsacchiotto>> scritto da Toni Ungerer. 

L’orsacchiotto, ritrovato nella vetrina di un rigattiere, aveva riunito, dopo tanto tempo, due amici, Davide e Oscar che avevano giocato sempre con lui. Nell’incontro Davide e Oscar si raccontano le 

loro esperienze. I genitori di Davide erano morti, come tanti ebrei, nel campo di concentramento, i genitori di Oscar erano morti in uno dei bombardamenti sulle città tedesche. La visione del film 

<< Il bambino con il pigiama a righe>>ci ha fatto riflettere sul tema dell’amicizia. In classe quarta abbiamo conosciuto Luisa Levi, la più giovane dei deportati ebrei che partì da Mantova per Auschwitz il 4 aprile 1944. Quindi storie fantastiche, storie verosimili, storie reali. Le immagini del 

film hanno colpito la nostra sensibilità perché molto veritiere. Le pagine dei libri letti ci hanno permesso di immaginare in un modo diverso le esperienze tragiche dei protagonisti. In questi anni  abbiamo riflettuto sempre insieme sulla parola << indifferenza>> e anche sull’importanza di non avere dei pregiudizi. Nessuno è diverso, nessuno è più bello o più brutto, nessuno deve essere numero, un pezzo. Siamo tutti uguali. Abbiamo capito bene che cosa è successo in passato, dobbiamo “prendere il futuro in mano” e fare in modo che non succeda più. 

Abbiamo conosciuto le esperienze di Liliana Sagre, prima e dopo la deportazione ad Auschwitz. Le abbiamo lette nel suo libro intitolato “ Fino a quando la mia stella brillerà”. Ognuno ha raccontato in un testo i momenti belli e brutti della sua vita, annunciati dalle sue stesse parole.

I ragazzi della classe VA 

Scuola Primaria di Bozzolo

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PROLOGO

“Fino a quando la mia stella brillerà”

Liliana Segre con Daniela Palumbo

 

“Coltivare la memoria è un vaccino prezioso contro l’indifferenza” dice Liliana Segre, autrice del libro, nato da una domanda del nipote Filippo: “Nonna, mi racconti di quando eri bambina?”. 

Liliana non aveva mai parlato, non aveva voluto parlare, non trovava le parole giuste. Poi un giorno le scattò qualcosa dentro.  Iniziò a raccontare la sua vita, per non dimenticare gli errori del passato ai ragazzi delle scolaresche, tra le quali era ospite, per farli diventare, da grandi, custodi del bene stando attenti a non seminare odio e indifferenza nei propri confronti e in quelli degli altri. 

La copertina del libro ritrae Alberto Segre, padre di Liliana, nella penombra con la Stella di David, simbolo che gli ebrei dovevano indossare per essere riconosciuti dai nazisti e dal popolo tedesco. Alberto tiene la mano di Liliana bambina, che cerca di raggiungere la sua stella.

C’è una citazione di Liliana, nel libro, con cui vorrei concludere per farci ricordare una ragazzina, rinchiusa nel campo di Auischwitz, che ogni sera guardava il cielo:

 “… Finché io sarò viva, tu, stellina, continuerai a brillare nel cielo. Stai tranquilla, io non morirò. Io sarò sempre con te…” 

  

                                                                            Caterina Canevari
















 

…Avevo quattro anni e ogni mattina, appena mi alzavo, montavo sul mio bolide e mi mettevo a scarrozzare lungo il corridoio della casa.

                                                                                         Liliana Segre

                                                                                                                                          

Il primo ricordo di Liliana della sua infanzia è un triciclo. Ogni mattina, infatti, saliva sul suo bolide e sfrecciava tutta velocità per tutta la casa. A proposito, Liliana viveva in Corso Magenta n° 55, a Milano, in un grande appartamento con il papà Alberto e i nonni paterni, nonna Olga e nonno Giuseppe, detto Pippo. La sua mamma, Lucia, era morta quando lei aveva meno di un anno, dopo due anni dal matrimonio con il papà. Liliana, infatti non la conosceva, ma ogni volta che si girava, vedeva su ogni parete la foto di una donna bellissima. Lei non sapeva chi fosse. Così un giorno chiese a sua nonna Olga: “Nonna, chi è la signora nelle foto che ci sono in giro per la casa?” La nonna rispose: “ Liliana, quella è la tua povera mammina, è morta poco dopo la tua nascita…” La povera Liliana, non aveva nessuno da chiamare “mamma” , ma era felice lo stesso. Sapete perché? Era amata da tutta la famiglia: da papà Alberto, da nonna Olga e nonno Pippo, ma anche dai nonni Bianca e Alfredo, i nonni materni. Loro non vivevano con lei, ma la venivano a trovare quasi tutti i giorni. Nonna Bianca era la preferita di Liliana . Giocavano insieme; lei non la sgridava mai e la coccolava anche quando faceva i capricci. Nonna Olga, invece, era tutto il contrario. Era molto severa, stava sempre sulle sue e, sinceramente, a Liliana non è mai stata molto simpatica, anzi, le faceva un sacco di dispetti! Povera nonna Olga, non poteva reggere il confronto con nonna Bianca!

Liliana, sin da bambina, ha dimostrato molto coraggio. Ad esempio, quando vedeva suo padre piangere, ci metteva tutta lei stessa per capire il perché piangesse. Vederlo fragile la faceva stare male. Cercava di tirarlo su di morale, anche se spesso, non poteva farci niente. 

                                                     

Caterina Canevari

                                                                                                                                                                                      













 

…Se ero una bambina felice era merito di mio papà. Dalla morte della sua Lucia lui mi ha dedicato la sua vita ed è riuscito a non farmi sentire la mancanza della mamma… 

                                                                                  Liliana Segre


 

Liliana ogni giorno, quando usciva da scuola, vedeva una carrozza che si trovava sempre davanti ad un palazzo stupendo. Era sempre chiusa, non come tutte le altre carrozze che erano aperte. Liliana avrebbe voluto sapere chi si nascondeva dentro la carrozza perché era curiosa. Pensava:<<Chissà perché è sempre lì allo stesso posto e proprio quando io esco da scuola…secondo me quella carrozza nasconde un segreto>>. Un giorno arrivò nella sua mente l’idea che nella carrozza c’era sua mamma che la guardava ogni giorno quando usciva da scuola. <<Come sarebbe stata? Bella come nella foto? O di più? >> Si chiedeva Liliana. Passava giorno dopo giorno che Liliana si convinceva di più. Però si chiedeva anche:<<Perché è andata via da noi? Perché è andata via da papà? E’ fuggita da casa?>>. Lei aveva un grande dubbio però era convinta che nella carrozza c’era sua mamma. Ogni giorno quando Liliana usciva da scuola e vedeva la carrozza, lì a pochi metri da lei, le veniva voglia di andare a scoprire il suo segreto. Liliana aveva compiuto 11 anni, quando il papà prese coraggio e chiese a Liliana se voleva andare a trovare la mamma al cimitero. Liliana era stupita perché il papà cercava sempre di evitare di parlare della mamma. Lei senza problemi rispose di sì. Arrivarono al cimitero monumentale di Milano e andarono nella parte ebraica. La mamma era sepolta in una piccola cappella, bellissima, ricoperta di marmi chiari con scritte dorate. C’erano tanti fiori bianchi, dappertutto, come nelle tradizioni ebraiche. Liliana guardò le fotografie della mamma. Rimase immobile e non sapeva cosa dire. Guardando poi il suo papà era triste e singhiozzava nel silenzio. Liliana scoppiò a piangere anche lei. Non era triste per la mamma, ma per il papà. Non sopportava vederlo piangere. Un giorno nonno Alfredo, papà di Lucia e nonno di Liliana le disse che sua figlia un giorno l’aveva trovato a piangere per lei. Lucia subito gli aveva detto:<< Papino mio non piangere, perché nella vita ho avuto voi, ho avuto Alberto e ho avuto una bambina >>. 

                                                                       

 Boschi Greta 
















 

…….A dieci anni iniziai a essere gelosa di papà.

 

                                                    Liliana Segre

 

Liliana era molto gelosa di suo padre, aveva paura che qualche giovane donna conquistasse il suo cuore, non voleva avere una matrigna.

Col tempo sempre più gelosa come una fidanzata!

E quando il papà parlava con una giovane donna , Liliana si intrometteva sempre… diventava una iena. Lui si arrabbiava sempre, perché gli faceva fare delle figuracce.

Questo succedeva sempre in vacanza, ogni estate Liliana e suo papà andavano in montagna, lui adorava la natura e le camminate.

Ma Liliana un po' meno, per carità le piaceva la montagna, i prati fioriti… ma un bel po' meno le camminate lunghissime.

Ogni volta, quando andavano nei ristoranti, la gente li guardava incuriositi, in quei tempi era strano vedere un padre da solo con una figlia. 

Diverse ragazze, donne e anziane andavano verso di loro e per farsi notare, dicevano:<< Ma che bella bambina! Quanti anni hai? Come ti chiami? >>. Liliana si girava dall’ altra parte, offesa dalle domande.

Alcune volte quando era di cattivo umore rispondeva con scortesia, senza nascondere il suo disappunto, e il papà rispondeva al posto di Liliana perché era sempre gentile e attento al prossimo.

Un giorno un’ amica di famiglia rimproverò Liliana.

<< Ma perché ti comporti così Liliana? Dovresti essere contenta che tuo padre possa trovare una donna che gli vuole bene.>>

Liliana disse subito che il papà doveva stare con lei, lui non doveva sposare nessuno. 

Liliana era davvero una vipera!

 

                                                    Vanessa Vamanu



















 

………Ero super amata, viziata, adorata da papà e quattro nonni.

                                    Liliana  Segre

 

 

Liliana aveva un papà, i nonni materni e i nonni paterni.

Nonna Olga era severa e Liliana era biricchina con lei. Quando però arrivava il papà lei diventava un angelo.

Nonno Pippo era gentilissimo. Alla domenica mattina lui affittava una carrozza e portava Liliana in giro per Milano. Le raccontava della vecchia Milano. Allora, quando c'era buio in inverno,  le persone stavano sui marciapiedi ferme ad aspettare l'omino che accendeva i lampioni. Quell'omino aveva una lunga pertica dove in alto brillava una fiammella. Accendeva così un lampione per volta e illuminava la città.

Quando c'era freddo o pioveva Pippo e Liliana andavano al cinema poi facevano merenda fuori orario. Se la nonna Olga e il papà lo avessero scoperto si sarebbero arrabbiati.

Nonno Alfredo, papà della mamma di Liliana, era un avvocato e aveva una tale parlantina che poteva parlare ore ed ore. Lui faceva il galante con tutte le donne e nonna Bianca, sua moglie, era gelosa.

Nonna Bianca giocava molto con Liliana. Sembrava anche lei una bambina. Quando Liliana piangeva, lei le faceva le coccole. Un giorno era il compleanno di nonna Bianca e Liliana non sapeva cosa regalarle . Si ricordò che nonno Pippo le aveva dato 100 lire.

Pensò di darli alla nonna giocherellona. Sapeva però che lei non li avrebbe mai accettati. A Liliana venne un'idea: appallottolare i soldi con attenzione, farli diventare piccoli per poi metterli dentro la borsa della nonna. Lo fece.

Nonna Bianca non seppe mai chi aveva messo 100 lire nella sua borsa. Liliana essendo l'unica bambina, era la reginetta di casa. 

 

                                                                   Brando Pescatori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

………Ero la piccola peste di casa. Quante ne ho combinate a nonna Olga….Le facevo un sacco di scherzi.

                                                             Liliana Segre

   

Nonna olga, quando venivano il giovedì le “ signore dei dolci”, preparava  sempre torte e  dolcetti profumati e gustosi. Liliana ne andava pazza. Un giorno  scoprì una torta al cioccolato cosparsa di zucchero a velo. Era stata messa sull’armadio nella camera di Susanna. Liliana prese una sedia, tirò giù la torta, ne sfilò un pezzetto da sotto e poi la rimise a posto. Che figura faceva la nonna con le amiche quando offriva tutta orgogliosa i dolci mangiucchiati!

Liliana faceva altri scherzi a nonna Olga. Per un periodo si era fissata con le trappole. Appendeva uno spago alle pareti del corridoio, alto pochi centimetric da terra, per far cadere la nonna. Meno male che lo scherzo non è mai riuscito perchè la nonna vedeva lo spago. Io non mi rendevo conto di metterla in pericolo.

 Una volta Liliana prese l’influenza e il papa chiamò subito il medico. La bambina era anche  molto magra e quindi il dottore le aveva detto che doveva prendere uno sciroppo. A Liliana non  piaceva per niente , diceva che quel liquido che doveva prendere ogni giorno,era amarissimo.

 Invece di berlo lo buttava nel lavandino.

Ogni giorno buttava, buttava e buttava.

Dopo un po’ di tempo è ingrassata di mezzo kilogrammo. Il papà le ha detto che doveva essere felice perché  quello sciroppo le aveva fatto bene.

Ma lo sciroppo lo  aveva buttato nel lavandino!!.

 

                                                              Antonio Caporale












 

         ……….Sì a rivedere adesso quei momenti della mia vita, so cos'era la felicità. In mezzo al mare, il tempo bello e il sole che sulle onde facevano uno scintillio. Quello scintillio così intenso non l'ho più ritrovato sul mare.

                                                         Liliana Segre

 

 

                                                                                                                                    Liliana non vedeva l'ora che le scuole finissero per andare in vacanza. Arrivava il dolce far niente.

Andava sempre in vacanza a Celle Ligure in Liguria, prima con i nonni e gli zii. 

Quando il suo papà Alberto finiva di lavorare, la raggiungeva da Milano nella casa che avevano affittato.

La cosa che le piaceva di più e chiedeva sempre al suo papà era di uscire al mare con il pedalò che lei chiamava moscone.

Papà Alberto la accontentava quasi sempre. Lui pedalava e qualche volta lo faceva fare anche a Liliana.

Lei non era molto felice. Alberto la invitava ad andare più veloce, ma lei non aumentava  la velocità e rimanevano nello stesso fazzoletto di mare.

Arrivavano dei momenti nei quali stavano in silenzio ma Liliana era lo stesso contenta perchè era insieme al suo papà. Alberto si tuffava e andava molto lontano chiedeva alla figlia di raggiungerlo. Lei lo accontentava sempre ,ma faceva due bracciate e poi gli diceva:<<Papà sono stanca, io ritorno al moscone>>

Liliana aveva solo paura e non voleva dirlo a suo padre che non aveva paura di niente.

Poi arrivava la sera e andavano dagli zii e dai nonni. Percorrevano una strada buia e Liliana aveva molta paura, ma era con suo padre.

Aberto si procurava sempre una pila per fare luce, ma certe volte la spegneva e mostrava a Liliana tutte le stelle, le costellazioni.

A Liliana sembrava di essere al cinema, il buio in sala e lo schermo immenso che era il cielo stellato. Poi vedevano anche le lucciole, e il papà diceva a Lilliana:<<Non guardarle di giorno che sono solo brutte farfalle, ma guardale di notte sono straordinarie.>>

Quando arrivavano dagli zii era sempre la stessa storia, giocavano a carte, bevevano e fumavano. Quando tornavano nella casa affittata non c'erano più le lucciole.

 

                                                                Brad Bricherasio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          ...C'erano delle nuove leggi per noi che eravamo ebrei. Come tutti i bambini ebrei fui espulsa dalla scuola.

                                                                     Liliana Segre

 

Una sera qualsiasi Liliana, il papà ed i nonni erano a tavola.

Tutti ascoltavano la bambina che parlava, raccontava quello che aveva fatto a scuola. Quel giorno era tornata a casa felicissima come al solito.

 Si divertivano tutti. Il pranzo era pronto e Liliana raccontava ancora le sue battute. Si era accorta però che la sua famiglia non era molto felice. Chiese che cosa stesse succedendo, ma nessuno le rispondeva.

Lei chiedeva, chiedeva, come avrei fatto anche io, ma nessuno le rispondeva.

Il papà prese coraggio e le disse: “ Non puoi più andare a scuola...”

La bambina rimase in silenzio come credo avrebbero fatto tutti i bambini del mondo;

“Perchè?” chiese. “E' una nuova legge, da oggi tutti i bambini ebrei non possono più andare a scuola” affermò il papà. Che legge stupida pensò Liliana che di corsa si precipitò di sopra piangendo.

Quell'anno avrebbe dovuto frequentare la terza elementare.

Pensò alle sue amiche, alla maestra Cesarina.

Era molto affezionata a lei e Liliana sentiva di poter contare su di lei.

Il giorno dopo arrivò alla porta una persona, era la maestra Cesarina. Corse subito di sopra per ascoltare di nascosto.

Il papà fece entrare la maestra. Si sedettero intorno al tavolo ed il papà chiese spiegazione, ma la maestra rispose che non era colpa sua, che non aveva deciso lei quelle leggi ingiuste.

Nella sua voce non c'era nemmeno un filo di dispiacere. Non disse nemmeno che Liliana le mancava.

Era come se la sua espulsione non la riguardasse affatto.

Liliana, che sentiva dal piano di sopra, era arrabbiata con la maestra.

Se fossi stato io sarei sceso al primo piano, avrei preso la maestra e l'avrei buttata fuori di casa.

Liliana stette li ad ascoltare tranquillamente grazie alla sua pazienza e calma come nessun altro della sua età avrebbe fatto.

La maestra se ne andò e Liliana scese di corsa a chiedere spiegazioni a suo papà, ma lui, facendo finta di niente, le disse: “Andrai in un’altra scuola!”.

 

                                                             Matteo Petroselli













 

....Quando papà decise di iscrivermi a una scuola privata, mi trovai subito bene e feci amicizia con tutti.

 

                                                                                     Liliana Segre


 

Liliana passeggiava in via Ruffini, passava davanti alla scuola che non poteva più frequentare. Vedeva le amiche che la indicavano e dicevano:

"Guardate! Quella è la Segre, che non può più andare a scuola perché è ebrea!".

E basta. E' una cosa orribile fare finta di essere amica di qualcuna. 

Tutte le amiche la cancellarono, tranne Giuliana, Maura e Tilde. Per fortuna Liliana aveva un carattere molto forte e non abbassava mai la testa quando la indicavano. Prima erano state tanto amiche e adesso la ignoravano. 

Liliana entrò in una nuova scuola; per lei era un nuovo inizio. Fece subito amicizia con tutti. Lei adorava la nuova maestra, si chiamava Vittoria Bonomi. Lei capiva Liliana perché sapeva che cosa significasse per una bambina essere espulsa. Con lei era affettuosa e paziente. La aiutava nei compiti, con il programma perché era rimasta indietro per via del tempo che aveva perso. In quegli anni ci voleva molto coraggio per diventare amica di persone ebree. Con Vittoria il legame non si spezzò mai. Tutti gli anni nel giorno della memoria i suoi figli mandano ancora un mazzo di fiori a Liliana. La maestra, quando vedeva il papà di Liliana, diventava tutta rossa "Quella si che andrebbe bene per papà, la vorrei come mamma" Pensava Liliana. E' strano pensare che la figlia possa decidere la fidanzata del proprio padre. Era Liliana che decideva con chi poteva e con chi non poteva stare suo papà.

 

                                                       Rachele Baboni





















 

   



 

 ...Non sapevamo niente, durata del viaggio, destinazione finale. Ma perchè ci portavano via? E dove? Per quanto tempo? Tante domande ma nessuna risposta. Nessuno aveva voglia di parlare. Per dirsi cosa?

 

                                                                Liliana Segre

 

Liliana era rinchiusa nel carcere di San Vittore con il suo papà. Un giorno vennero chiamati dai nazisti insieme ad altre 605 persone. Tutti si disposero in fila indiana mentre nel carcere scendeva il silenzio. Nessuno sapeva dove li avrebbero portati. Attraversarono il cortile.

I carcerati comuni, che erano in carcere per aver commesso veramente un reato, lanciarono mele, arance e gridavano frasi di incoraggiamento. Liliana ricorda:”Sono stati gli unici a darci sostegno morale quindi per noi sono stati come fratelli!”

Mentre i carcerati gridavano, i tedeschi cercavano di spaventare gli ebrei con l'abbaiare dei cani per farli salire più velocemente sui camion. Attraversarono Milano. Durante il viaggio Liliana rivide la Stazione Centrale, intravvide via Ruffini dove c'era la sua vecchia casa. Si chiedeva se l'avrebbe mai rivista. Arrivarono nei sotterranei della Stazione Centrale, al binario 21 dove c'erano i carri bestiame. Tutti furono caricati con violenza.

Quando un vagone era pieno lo sprangavano e lo agganciavano ad altri vagoni. Liliana non sapeva niente del viaggio che stava per iniziare. Si chiedeva perchè c'era un secchio con della paglia e a che cosa serviva. Si è data ben presto una risposta. Quello era il loro bagnodurante il viaggio. Nessuno aveva voglia di parlare. Liliana osservava i visi degli adulti che erano con lei. Si capiva che la speranza li aveva abbandonati. Era come avere accanto dei fantasmi.

 

                                             

         Ismaele Finardi




















 

… Avevo tredici anni, avevo molta fame, ma in quei momenti ancora non credevo che potesse esistere un luogo come Auschwitz.                          

                                                  Liliana Segre


 

Liliana e suo padre erano su un treno stretti, stretti ad altri ebrei, oppositori politici e zingari. Nessuno aveva il coraggio di parlare. C’era chi piangeva e chi pregava incessantemente. Il padre continuava a chiederle scusa per averla messa al mondo perché aveva la consapevolezza di non poter più fare niente per salvarla. Liliana capì che era la disperazione a far parlare suo padre. Quel viaggio fu molto lungo e senza cibo né acqua. Quando arrivarono ad Auschwitz videro un paesaggio ricoperto di neve. Furono obbligati a scendere dal treno con una gran violenza. Davanti a loro c’erano dei nazisti armati e dei cani che abbaiavano. C’era solo la confusione. Un soldato tedesco ordinò a tutti i prigionieri di dividersi: donne e bambini da una parte e uomini dall’ altra. Dicevano di non agitarsi perché tra poco si sarebbero riuniti… era solo una bugia. Liliana scoprì che suo padre aveva chiesto a una donna di badare alla sua bambina. Lei accettò.  I nazisti scelsero 31 donne, senza dir loro il perché e Liliana era tra quelle. Le altre furono mandate “alle docce”. Ecco come chiamavano le camere a gas. La donna che doveva badare a Liliana non la rivide mai più. Non rivide neanche più suo padre.

Era il 6 febbraio 1944. Quel giorno Liliana si salvò anche perché la guardia non le aveva chiesto quanti anni aveva. Era alta e non dimostrava più di 13 anni. I nazisti seguivano una regola quando arrivavano i prigionieri: dai 13 anni in giù i bambini venivano mandati direttamente nelle docce. Sotto i 13 i ragazzi non erano abbastanza forti per lavorare nel campo, erano inutili, erano stuck. In tedesco significava “pezzo”. Ad Auschwitz tutti non erano più uomini, ma pezzi.

 

                                         Asia Casilli



















 

… Quando entrai nel campo non facevo che piangere. Provavo una disperazione assoluta. Era come se mi rendessi conto solo allora che tutto era finito, ormai tutto era perduto.

                                                                     Liliana Segre

 

Liliana nel campo ad Auschwits non aveva più niente, neanche un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Non le avevano lasciato niente. Solo il corpo, un corpo che piano piano diventava uno scheletro. Un giorno Liliana parlò con delle prigioniere adulte. Le spiegarono delle regole di sopravvivenza non dette al campo: imparare il tedesco per poter rispondere immediatamente alle domande dei soldati; imparare assolutamente il proprio numero tatuato sul braccio; non parlare con nessuno e non diventare amico di nessuno perché non saresti riuscito neanche a sopportare il dolore che lui venisse ucciso; essere il più egoista possibile e obbedire sempre; non parlare dei propri malanni come febbre, varicella, raffreddore perché l’ avrebbero mandato in infermeria e raramente sarebbe tornato. Liliana le seguì scrupolosamente e per fortuna non fu uccisa. Dalla mattina alla sera Liliana lavorava in una fabbrica di munizioni per le armi dei tedeschi. Lavorava per fortuna al coperto, fino all’ esaurimento delle forze. Per arrivare in questa fabbrica, alla mattina prestissimo, camminava per tre chilometri. Quando alla sera andava a letto la sua mente si rifiutava di pensare alle cose terribili che succedevano nel campo. Ma c’ era un pensiero che non l’ abbandonava: pensava alla famiglia, al papà, e si chiedeva:<< Come sta? L’avranno ucciso? >>. Un giorno nella fabbrica Liliana incontrò degli uomini che avevano viaggiato con lei sul treno. Le dissero che il suo papà l’ avevano messo a lavorare al campo di Buna-Manowitz vicino ad Aushwits notizia la gettò nella disperazione, però almeno era vivo. Il racconto di Liliana mi ha fatto riflettere sul lato terribile dell’ uomo e su come possono essere maltrattate persone innocenti. Lei aveva scelto di vivere. Non voleva mollare, non voleva abbattersi subito. Il suo istinto la spingeva a reggere tutto il dolore psicologico e fisico. Una grande forza la travolgeva, un grande desiderio di sopravvivenza.

 

                                             Giacomo Tarana













 

… Da allora la stella è diventata un simbolo importante nella mia vita. La mia famiglia mi regala stelline d’ argento e i miei nipoti disegnano per me cieli brillanti di stelle.

 

                                                         Liliana Segre

                                                                                                                                                                                   

Liliana non ha mai sognato di notte ad Auschwitz. Di giorno sognava di giocare in un prato fiorito al sole, si   raccontava le sue canzoni preferite, le storie e le commedie ascoltate con nonno Pippo. In questo modo non si rendeva conto di quello che stava succedendo. Aveva un mondo di fantasia e di ricordi che la trascinavano lontano dal campo di concentramento. Rivedeva nella   mente una festa con le amiche, una vacanza, una gita in campagna. Ma nulla che riguardava la sua famiglia, la sua casa, i visi di tutti i sui cari. Quelli erano ricordi proibiti. Scordava i ricordi che non avrebbe avuto la forza di sopportare. Con la mente voleva essere lontano dal lager. Liliana tutte le sere cercava e parlava con una stella:<< Finchè io sarò viva, tu  stellina, continuerai a brillare nel cielo. Stai tranquilla io non morirò. Io sarò sempre con te>>. Liliana era assalita dai ricordi proibiti anche durante la marcia per andare alla fabbrica dove lavorava. Era costretta a cantare come se stesse andando a fare una gita in campagna. Quando i prigionieri incontravano la gioventù hitleriana si fermavano e loro li riempivano di insulti e a volte gli sputavano addosso. Nel campo di concentramento Liliana riuscì a formare dentro di lei un’altra Liliana nel senso emotivo perché non voleva arrendersi in quei tragici momenti. Mi ha colpito molto  il racconto dei ragazzi nazisti che maltrattavano gli ebrei. Un’ altra cosa che mi ha colpito molto sono le parole dette da Liliana alla stellina. 

 

                                                              Niccolò Tarana


 

                               















 

                   …Verso la metà di gennaio del 1945 i nazisti fecero saltare in aria i lager. I Russi si avvicinavano e loro dovevano fuggire. Cominciò la lunga marcia della morte. 

 

                                                          Liliana Segre                  

                                                                                                                         

 

I Russi stavano scoprendo come i nazisti avevano trattato gli ebrei; Auschwitz doveva essere cancellato: perché il mondo non doveva sapere. I prigionieri e le prigioniere che ancora riuscivano a reggersi in piedi uscirono dal campo. Iniziò la lunga marcia della morte. Il viaggio durò settimane. Spesso marciavano di notte perché i tedeschi non volevano far scoprire i corpi scheletrici. Il viaggio è stato chiamato “Marcia della morte” perché tanti che cadevano e non si rialzavano venivano uccisi, con un colpo sparato in testa! Erano crudelissimi, senza cuore, disumani e spietati. Alla fine del viaggio, Liliana e altri ebrei arrivarono a Malchow in Germania. Fuori dal campo di concentramento c’erano dei prigionieri francesi che li incoraggiavano dicendo:<< Forza, non morite ora, la guerra sta per finire! I nazisti stanno perdendo>>. In quel campo di concentramento Liliana andò in infermeria a farsi togliere un ascesso che aveva sotto l’ascella. L’infermiera lo tagliò con le forbici facendo uscire il pus e poi lo fasciò con della carta igienica. In quel momento Liliana soffrì molto, le era venuta anche la febbre. Una prigioniera ebrea le regalò un bastoncino di carota che le avevano appena dato. Quanto doveva esserle costato! Il cibo era il bene più prezioso perché non ne davano. Quella ragazza aveva capito quanto Liliana stava male. Per la prima volta, dopo due anni Liliana disse grazie a qualcuno! Un giorno, a Malchow accadde una cosa: le porte del campo di concentramento si aprirono; e gli ebrei credettero di dover partire per un’altra marcia della morte. Videro i soldati nazisti che si spogliavano e indossavano abiti civili. Fuori da Malchow c’erano soldati russi e americani. Arrivarono le prime jeep americane nel campo. Piovevano cioccolato, sigarette e frutta secca. Liliana raccolse un’albicocca. Non le sembrava vero assaporare un cibo normale, essere di nuovo trattata come una persona. Finalmente i nazisti non c’erano più!

 

                                                            Tommaso Nardi











 

……Era il 1° Maggio 1945. Libere! Non potevamo crederci. Eravamo esauste, ma di una felicità che, ancora oggi, non saprei descrivere per quanto era grande.

 

                                                          Liliana Segre

 

Arrivarono le prime jeep americane nel campo. Dalle loro machine piovevano cioccolata, sigarette e frutta fresca. Liliana raccolse un’albicocca. Non le sembrava vero assaporare un cibo normale, essere trattata di nuovo come una persona. Curarono il suo ascesso con la penicillina. Le fecero anche delle foto per documentare la realtà orribile che aveva vissuto. Dopo I primi giorni di euphoria, tutti volevano tornare a casa, dale famiglie. Liliana non sapeva cosa e chi l’aspettava, ma non vedeva l’ora di essere a casa. Però non era facile. C’era una massa spropositata di persone, di tante nazioni diverse. Bisognava organizzare I treni, I percorsi, le tratte diverse. Gli americani furono eccezionali. La maggior parte dei soldati italiani era analfabeta e non sapeva scrivere. Però sognavano di comunicare con I loro famigliari. Così Liliana propose di scrivere delle lettere e si mise al lavoro. Loro raccontavano e lei scriveva. Dentro una casa accogliente riprese a mangiare. Piano piano Liliana si rimise in forze e dopo un mese cominciò a ingrassare. Un giorno annunciarono che un convoglio militare avrebbe accompagnato tutti gli ebrei a Bolzano. Dal treno vedevano scomparire la Germania, l’Austria. Finalmente, arrivarono al confine: erano in Italia!

Da Bolzano si spostarono a Milano, la città di Liliana. L’avevano cacciata, l’avevano incarcerate e buttata in pasto ai cannibali, ma lì c’erano tutti I suoi ricordi, la sua famiglia. Almeno, così sperava. Liliana arrive alla stazione di Cadorna, nel centro di Milano. Ma non era più come la ricordava.

 

                                                                Alessio Ramirez





















 

EPILOGO


 

In seguito, Auschwitz è tornato prepotentemente nella mia vita. Come un fantasma che vuole rubarti l’anima. Come un lupo mannaro che ti aggredisce alle spalle. Vigliaccamente. Ho sofferto ancora e ancora. Ricordavo i morti e le grida, le notti e la fame. Tutto il dolore che avevo rifiutato di vedere quando ero ad Auschwitz tornava a stare con me. Mi rubava il cuore e la gioia. Non ero capace di essere serena. Essere dei sopravvissuti, inoltre, non ti protegge dai dolori che si incontrano nella vita. Nella mia vita c’è sempre stato mio padre. E ci sarà sempre, fino a quando ci sarò io. Dal 1990, l’anno in cui ho cominciato a diventare testimone, è più che mai accanto a me. Di che cosa è fatta la storia della mia vita se non da quel distacco con mio padre?

Uomini a destra e donne a sinistra. E poi non lo vidi più. 

Anche se vivessi altri cento anni, quel momento resterebbe indelebile, perchè fa parte di me. Come papà. 



                                                            Liliana Segre

 

V elementare di Bozzolo

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